Nell’istante medesimo in cui il presente mi sfugge, il mio gesto di pittore percorre, lasciando una traccia, l’imbarazzante nulla. Non trovo più richiami né intime rivisitazioni, mi sospendo… nel declivio dei miei pensieri: riscopro atavici luoghi.
Guardiani di una buia caverna senza fondo mi negano l’accesso, occultando non ori e gioielli ma mirabolanti figure di una infernale Macondo. Nell’attimo in cui il colore macchia la tela, mi appare l’abisso, che mostra la sua infinita trasparenza rivelando la precarietà della materia:
«Non giochi! Non edonismo! Non effimero!»
Una visione surreale mi libera dai falsi doveri, dalle false responsabilità, che non ho mai né voluto né accettato; ma mi si continua a ripetere:
«Tu devi!»
Ora il mio spirito dialoga con fantasmi notturni in una vita fatta di acri rumori, acri umori, acri ricordi sorvegliati da grotteschi visi che visi non sono ma maschere.
Solitari Harry Haller, lupi della steppa nonché spettatori di un futuro già predetto si aggirano, rinchiusi in candide celle di mattatoi nauseabondi, illuminati al neon, ululando:
«Der letzte Urschrei!»
D’un tratto, lasciato in disparte da muse un poco distratte, mi scopro, in un bar di periferia, dialogante con una macchina luccicante e tintinnante, assordante ed inebriante, astronave di lucidi piaceri:
«BIENVENU EN XENON»